Il timore di divulgazione dei dati personali può dare il via a una richiesta di diritto di risarcimento, anche senza alcuna prova concreta. Così la Corte di Giustizia europea chiarisce la questione del risarcimento in caso di violazione del GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati).
Con la sentenza del 20 giugno 2024, nella causa C-590/22, la Corte di Giustizia dell’Ue sancisce i principi del risarcimento del danno da violazione dell’articolo 82 del Regolamento Ue 2016/679.
“1. Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento”, recita il paragrafo 1 dell’articolo 82 del GDPR.
Indipendentemente dalla gravità del danno, un qualsiasi cittadino europeo può invocare l’articolo e successivamente comprovare la sussistenza della violazione e il relativo danno. Le tre condizioni da soddisfare comprendono: una disposizione del GDPR violata, un danno materiale o immateriale, una causalità tra danno e violazione segnalata.
Nonostante queste precisazioni, la sentenza affronta anche la questione pregiudiziale del timore di diffusione dei dati personali e il conseguente danno immateriale. In sede di sentenza, il Tribunale Ue precisa che una violazione o divulgazione di dati personali potrebbe causare un grave danno morale, fisico o immateriale. Infatti, la vittima potrebbe andare incontro alla limitazione dei propri diritti, discriminazione, perdite finanziarie o addirittura furto di identità.
Secondo il considerando 146 del GDPR, il concetto di “danno” è da interpretare in senso lato, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia e degli obiettivi del Regolamento, che intendono proteggere le persone fisiche e garantire un elevato livello di protezione dei dati.
Per questo, il timore di un potenziale uso improprio o illecito dei dati personali da parte di terzi può essere considerato di per sé un “danno immateriale”.
Tale interpretazione ha rafforzato la posizione europea sulla questione del danno risarcibile e ciò avrà un impatto anche a livello dei singoli tribunali nazionali in tutta Europa.
In Italia, la tutela di risarcimento è subordinata alla concretezza di prove e circostanze specifiche. Un illecito, quindi, deve essere comprovato dall’esistenza di un danno con annessa la causalità tra azione e negligenza altrui.
A differenza della specifica europea, tuttavia, in Italia il danno assume una connotazione di gravità. Esiste un danno più futile e uno più importante in termine di disagio personale, materiale o meno. Da qui, si notano le prime incongruenze e diversità.
L’ordinamento italiano, per quanto in linea sia con il GDPR che con la giurisprudenza europea sembra comunque indissolubilmente legato ad un approccio che ha necessità di revisione sul fronte del paradigma risarcitorio.
Articolo di T.S.
L’articolo GDPR, Ue: risarcimento danni immateriali possibile, Italia cauta proviene da Notiziario USPI.
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